In queste crociere extralusso di massa c’è qualcosa di insopportabilmente triste. A bordo della Nadir – soprattutto la notte, quando il divertimento organizzato e il rumore dell’allegria cessavano – io mi sentivo disperato. Ormai è una parola abusata e banale, disperato, ma è una parola seria, e la sto usando seriamente. Per me indica una semplice combinazione – uno strano desiderio di morte, mescolato a un disarmante senso di piccolezza e futilità che si presenta come paura della morte. Forse si avvicina a quello che la gente chiama terrore o angoscia. Ma non è neanche questo. È più come avere il desiderio di morire per sfuggire alla sensazione insopportabile di prendere coscienza di quanto si è piccoli e deboli ed egoisti e destinati senza alcun dubbio alla morte. E viene voglia di buttarsi giù dalla nave.
Ho visto spiagge di zucchero e un’acqua di un blu limpidissimo.
Ho sentito il profumo che ha l’olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente.
Ho visto un sacco di navi bianche veramente enormi.
Ho visto frotte di pesciolini con le pinne luccicanti.
Ho visto la costa settentrionale della Giamaica.
Ho visto e ho sentito la puzza di tutti i 145 gatti che vivono nella villa di Ernest Hemingway a Key West in Florida.
Ho visto valigie fosforescenti e occhiali da sole fosforescenti con cordicelle fosforescenti e più di venti tipi diversi di ciabatte infradito.
Ho sentito tamburi da banda di paese e ho mangiato frittelle di sgombro e ho visto una donna in lamé argentato che vomitava a getto dentro un ascensore di vetro.
Ho imparato che in realtà ci sono intensità di blu anche oltre il blu più limpido che si possa immaginare.
Ho mangiato più che mai e piatti più sofisticati che mai, per di più nella stessa settimana in cui ho imparato anche la differenza tra beccheggiare nel mare agitato e rollare nel mare agitato.
Ho visto completi fucsia e giacche rosa mestruo e scaldamuscoli viola e marrone e mocassini bianchi senza calzini.
Almeno una dozzina di volte il suono della sirena della nave, un’assordante flatulenza degli dei, mi ha fatto prendere un colpo.
Ora conosco ogni possibile giustificazione o scusa per chi spenda tremila dollari per andarsi a fare una crociera ai Caraibi.
Mi sono mangiato le mani per aver rifiutato autentica marijuana giamaicana da un giamaicano autentico.
Ho capito cosa significa avere paura del proprio water.
Ho imparato ad avere il piede marino e ora mi piacerebbe perderlo.
Ho assaggiato il caviale e mi sono trovato d’accordo con il giudizio del bambino che mi sedeva accanto: fa schifo.
Ho sentito persone sedute sulle sdraio sul ponte dire che non è tanto il caldo, ma l’umidità.
Ho osservato e catalogato, con ribrezzo, ogni tipo di eritemi, cheratinosi, lesioni pre-melanoma, macchie da mal di fegato, eczemi, verruche, cisti papulari, pancioni, celluliti femorali, vene varicose, trattamenti al collagene e al silicone, tinture orribili, trapianti di capelli malriusciti – insomma, ho visto un sacco di gente seminuda che avrei preferito non vedere seminuda.
David Foster Wallace, Una Cosa Divertente Che Non Farò Mai Più, Minimum Fax